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I Piani di Azioni Positive (PAP)

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I Piani di Azioni Positive si inseriscono nell’ambito delle iniziative promosse dall’Amministrazione Comunale per dare attuazione agli obiettivi  di pari opportunità cosi come prescritto dal decreto legislativo 196 del 2000. L’articolo 7 comma 5 del decreto legislativo 196 dispone, infatti, che le Pubbliche Amministrazioni adottino Piani di Azioni Positive tendenti ad assicurare, nel loro ambito, la rimozione degli ostacoli che, di fatto, impediscono la piena realizzazione di pari opportunità di lavoro e nel lavoro tra donne e uomini.

Le azioni positive contenute nei Piani di Azioni Positive sono misure temporanee speciali che, in deroga al principio di uguaglianza formale,  mirano a rimuovere gli ostacoli alla piena ed effettiva parità di opportunità tra donne e uomini. Sono misure “speciali”, in quanto non generali ma specifiche e ben definite, che intervengono in un determinato contesto per eliminare ogni forma di discriminazione, sia diretta che indiretta e “temporanee”, in quanto necessarie fintanto  si rilevi una disparità di trattamento tra donne e uomini.

 

L’origine delle azioni positive si rintraccia nella legislazione degli Stati Uniti (Equal Pay Act, legge di parità salariale, del 1963; Civil Rights Act, legge per i diritti civili, del 1964), che le ha introdotte e sperimentate inizialmente in relazione al contrasto delle discriminazioni fondante sulla razza, allargandone poi il campo d’azione a quelle legate alla confessione religiosa, all’origine nazionale e soprattutto al sesso per tutto ciò che attiene ai rapporti di lavoro.
Le affirmative actions, questa è la denominazione delle azioni positive nel lessico d’oltreoceano, hanno rappresentato un caposaldo delle politiche di pari opportunità, uno strumento essenziale di realizzazione dell’ eguaglianza sostanziale.

 

Le azioni positive hanno la finalità di eliminare le disparità di fatto di cui le donne sono oggetto nella vita lavorativa e favorire il loro inserimento nel mercato del lavoro: questa è la definizione che il diritto della Comunità Europea e la Corte di Giustizia CE hanno nel tempo sostanzialmente mantenuto valida per introdurre nei corpi normativi dei singoli Paesi tale strumento di attuazione delle politiche di pari opportunità.

 

Le azioni positive, introdotte nel nostro ordinamento con la Legge 125 del 1991, ottengono un definitivo riconoscimento nel Codice delle Pari Opportunità (D.Lgs. n. 198 del 2006 articolo 1), così come riscritto dall’art. 1 del D.Lgs. n. 5 del 2010 che espressamente chiarisce: "Il principio della parità non osta al mantenimento o all’adozione di misure che prevedano vantaggi specifici a favore del sesso sottorappresentato" (comma 3).

La normativa italiana ha diversificato i modelli di azioni positive a seconda che si tratti di realizzarle nel settore privato, ovvero nella Pubblica Amministrazione.


Nel settore pubblico il legislatore ha scelto di adottare il modello obbligatorio: le Pubbliche Amministrazioni devono redigere un piano triennale di azioni positive per la realizzazione delle pari opportunità,  ai sensi dell’art. 48 del Decreto legislativo n. 198 del 2006:

  • devono riservare alle donne almeno un terzo dei posti di componente delle commissioni di concorso;
  • devono adottare propri atti regolamentari per assicurare pari opportunità fra donne e uomini sul lavoro;
  • devono garantire la partecipazione delle proprie dipendenti ai corsi di formazione e di aggiornamento professionale, in rapporto proporzionale alla loro presenza nella singola amministrazione, adottando tutte le misure organizzative atte a facilitarne la partecipazione e consentendo la conciliazione fra vita professionale e vita familiare;
  • devono adottare tutte le misure per attuare le direttive della Unione europea in materia di pari opportunità (art. 57 decreto legislativo n. 165 del 2001).


I soggetti tenuti alla predisposizione dei piani sono le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, le province, i comuni e gli altri enti pubblici non economici.
I piani di azioni positive, che hanno vigenza triennale, devono tendere alla rimozione degli ostacoli che impediscono la piena realizzazione di pari opportunità di lavoro e nel lavoro tra donne e uomini.

 

 

 

 

 

Fonti normative

  • Decreto Legislativo 25 gennaio 2010, n. 5 – Attuazione della direttiva 2006/54/CE relativa al principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego
  • Decreto Legislativo n. 198 del 2006 - Codice delle pari opportunità tra uomo e donna
  • Legge n. 903 del 1977 – Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro
  • Legge n. 125 del 1991 – Azioni positive per la realizzazione della parità uomo –donna nel lavoro
  • Legge n. 53 del 2000  - Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città
  • Decreto Legislativo n. 151 del 2001 - “Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’art. 15 della Legge 53/2000
  • Decreto legislativo n. 165 del 2001 – Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche